Camminare le vigne in Belgio
Prospettive rovesciate. Ovvero, oltre il terroir
Intorno è pianura. Pianura a perdita d’occhio e in mezzo un vigneto anzi, tre vigneti. Saranno sì e no 2°C e i miei piedi sono così freddi da averne perso coscienza da un pezzo. Sono in Belgio, a Liezele, nella provincia di Anversa, che non è certo il primo posto che mi viene in mente quando penso alla prossima meta dove camminare le vigne.
Ho detto un vigneto, anzi tre vigneti perché, nonostante siano vicini l’uno all’altro, appartengono a tre diversi appezzamenti piantati in tre diversi anni, dal 2016 al 2018. La tenuta Valke Vleug cresce a passi piccoli ma lesti. È un grande progetto tanto per risorse messe in campo quanto per ambizione: produrre vini di qualità in una zona che non si definirebbe esattamente vocata.
Qui il clima è rigido, a tratti estremo: esordi di primavera pericolosamente freddi, estati piovose e timidamente calde, attacchi d’autunno variabili e uggiosi.
Eppure, qui c’è un vigneto, anzi tre vigneti. Due ettari coltivati principalmente con varietà a bacca bianca ma anche un po’ di pinot nero perché l’obiettivo è naturalmente produrre spumanti, visto che le condizioni climatiche renderebbero quasi impossibile portare a perfetta maturazione le uve per produrre vini fermi.
Il sistema d’allevamento scelto per la conduzione del vigneto è il guyot singolo, già ben riconoscibile nella prima parte di vigneto, mentre nelle porzioni più recenti le potature non sono ancora riuscite a imprimere una struttura alla vite che solo con il tempo si farà a poco a poco più evidente.
È proprio con la potatura secca che si gioca tutto. I tagli sono tre. Il primo verso la fine di dicembre, il secondo tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio e il terzo, quello decisivo, verso marzo, proprio prima della ripresa dell’attività vegetativa. Più si posticipa l’ultimo taglio e più si riducono i rischi dei danni provocati dalle gelate primaverili.
La densità d’impianto è elevata, supera la 6000 viti per ettaro. Una scelta obbligata. Qui i terreni sono molto fertili, sabbia e limo li costituiscono, e se la vite non fosse messa in competizione a sufficienza, i suoi sforzi finirebbero per concentrarsi troppo sulla vegetazione e poco sul frutto.
Dove non c’è vigna c’è cantiere. La cantina è ancora in costruzione, proprio qui si stanno edificando tre edifici progettati dall’architetto Vincent Van Duysen.
La prima prova di vinificazione, risultato della vendemmia 2018, ha dato 200 preziosi litri di vino ed è, almeno per il momento, gelosamente custodita all’interno di un container posizionato a fianco del vigneto.
Intanto, mentre aspetta di produrre i suoi vini, la società che ha fondato la Valke Vleug, ha avviato Vinetiq, un progetto di commercializzazione di vini prodotti in varie parti del mondo dove la rigidità del clima è il minimo comun denominatore.
C’è un fil rouge, sottile e forte, che lega queste viticolture
che si esprimono in maniera variegata e complessa, eppure organica e strutturale. Territori come questo, come la Mosella o i Finger Lakes hanno in comune la coscienza del limite.
Questi luoghi, belli e difficili, ci ricordano che certi limiti non possono essere superati, ma che ci si può convivere e si può imparare addirittura a valorizzarli. E così un limite, che di per sé è un concetto stretto e soffocante, può diventare un punto di forza, una chiave di lettura, una ragion d’essere.
Camminare queste vigne mi costringe a rovesciare la prospettiva.
Io provengo da luoghi in cui la viticoltura ha fatto da sempre parte della vita delle generazioni che mi hanno preceduta. Provengo da luoghi in cui il vino è stato per secoli fonte di sostentamento, oltre che convivialità, cultura, vita. Eppure, qui, dove il vino non ha storia e tradizione c’è un attaccamento a questa specie di poesia liquida, un desiderio forte e sincero di avere finalmente un’occasione per appropriarsene in un modo più profondo, che porta da essere consumatori a essere produttori .
Qui il terroir inteso come sistema sempre complesso e sempre irripetibile di suolo, sottosuolo, clima e pratiche umane di viticoltura e vinificazione non esiste. Eppure perché non riesco a pensare che produrre il vino qui sia solo un capriccio? Forse, questo areale non costituirà mai un terroir nel senso più profondo, ma chi dice che non si potrà trarre da questi luoghi inospitali per la vite dei vini capaci di raccontare il freddo nelle notti primaverili, i cieli argento d’estate e la pioggia un attimo prima della vendemmia?
Ecco, allora che se questi vini saranno capaci di raccontarci i loro limiti con fierezza e sincerità, potremo sempre capirli, a volte perdonarli, altre addirittura amarli.
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